Aldifuori...

Colei che nessuno arruola e che è guidata soltanto da una natura impulsiva, la passionale complessa,
la fuorilegge, la fuori da ogni scuola, l'isolata ricercatrice dell'aldilà...

sabato 14 gennaio 2012

Arditi, non gendarmi!

  • Le origini
Gli Arditi del Popolo nacquero formalmente il 27 giugno 1921 in seno a quelli che erano gli Arditi d’Italia.
In un’assemblea venne decisa la costituzione del battaglione degli Arditi del Popolo composto a sua volta da tre compagnie: la Temeraria, la Dannata e la Folgore.
In realtà in quella data avvenne il definitivo punto di cesura tra l’arditismo popolare e quello che fu concepito inizialmente come arditismo di guerra (1917). Quest’ultimo ideologicamente era indirizzato verso un patriottismo che sfociava nel nazionalismo, impostato su posizioni interventiste e di conseguenza contro tutti coloro che erano contrari all’entrata in guerra dell’Italia (tra cui moltissimi socialisti e proletari in genere). Questi Arditi d’Italia arrivarono anche a costituire il primissimo seguito di Mussolini, ma col tempo la componente antimonarchica cominciò ad essere più preponderante rispetto a quella antisocialista; di lì la propaganda socialista cominciò a diffondersi, per cui si giunse gradualmente all’approccio antifascista che portò gli Arditi d’Italia a divenire Arditi del Popolo.

    Argo Secondari
  • Lo scopo
Fu proprio l’anarchico Argo Secondari a mettere in piedi questa nuova organizzazione di difesa proletaria che aveva come scopo ultimo quello di arginare gli attacchi delle camicie nere contro le case del popolo, le camere del lavoro e i vari organi vicini alle masse proletarie.
Negli Arditi del Popolo confluirono persone dalle varie tendenze politiche (anarchici, repubblicani, comunisti, socialisti e inizialmente anche legionari fiumani richiamati però subito da D’Annunzio), proprio perché non si trattava di prefiggersi obiettivi a lungo termine che prescindevano dalle singole ideologie. Si trattava piuttosto di rispondere alla necessità di sopravvivenza e tutti avevano dunque come comune denominatore la convinzione che alla violenza fascista l’unica risposta valida era la violenza antifascista come strumento efficace di autodifesa.
Così nacque la prima forma di resistenza armata contro il fascismo.

  • Organizzazione militare
L’organizzazione antifascista essendo composta prevalentemente da elementi reduci del primo conflitto mondiale era impostata su un assetto militare ed operava come una vera milizia pattugliando i quartieri e marciando per le strade cittadine.
Gli Arditi erano divisi in battaglioni a loro volta suddivisi in compagnie o centurie, e poi in squadre. Ogni squadra era composta da 10 elementi più caposquadra; ogni compagnia era formata da 4 squadre più il comandante di compagnia e ogni battaglione era formato da tre compagnie più il comandante di battaglione per un totale di 136 uomini affiancati da altri 10 esterni che costituivano un plotone autonomo di sicurezza. Inoltre vi erano anche i ciclisti che si occupavano di mantenere i collegamenti tra i vari elementi.
Di solito l’inquadramento delle compagnie non avveniva secondo l’appartenenza politica, ma non mancarono i casi in cui quello fu il criterio di suddivisione  (Livorno).

  •  I simboli

Anche i simboli dell’organizzazione derivavano dall’arditismo di guerra. Il simbolo per eccellenza era un teschio cinto da una corona d’alloro e con un pugnale tra i denti; il timbro del direttorio era costituito da un pugnale circondato da un ramoscello di alloro e uno di quercia incrociati. La sezione di Civitavecchia aveva, invece, come proprio simbolo il fascio littorio spezzato da una scure.
Gli Arditi inoltre avevano generalmente anche una divisa: maglione nero, pantaloni grigio-verdi e una coccarda rossa al petto; durante gli scontri molti di loro indossavano degli elmetti Adrian.

  •   La manifestazione all’Orto Botanico (6 luglio)
La prima grande comparsa degli Arditi del Popolo si ebbe il 6 luglio 1921 in occasione della manifestazione antifascista all’Orto Botanico, a Roma. Erano in 2000 inquadrati militarmente, e suscitarono il clamore di tutti i presenti. Al termine della manifestazione vennero ordinate cariche di cavalleria e nei pressi di Palazzo Venezia ci furono degli scontri tra fascisti e Arditi. Mussolini si dichiarò favorevole ad una sorta di tregua con i socialisti a patto che si dissociassero da quella organizzazione popolare e questo fu uno degli accenni al fatto che egli mirava principalmente a stabilirsi sul fascismo urbano (quindi più politico e istituzionale) che sul fascismo agrario composto da elementi più agguerriti decisi a portare tutta la loro violenza ed oppressione nelle strade. A partire da questo momento andò tessendosi la trama che avrebbe portato al patto di pacificazione tra socialisti e fascisti, coronato da Bonomi.

  •    Le posizioni di comunisti, socialisti e anarchici
Sin da subito gli organi istituzionali comunisti e socialisti come il PCI, il PSI e sindacalisti come la CGL mostrarono perplessità nei confronti degli Arditi perché vedevano la soluzione in un approccio più istituzionale. Se la violenza delle camicie nere dilagava per le strade loro ritenevano opportuno combatterla nei palazzi. Le perplessità verso gli Arditi si tramutarono in avversione e fu intimato a tutti i tesserati di ritirarsi dalle fila dell’organizzazione. La maggior parte obbedì agli ordini dei rispettivi direttivi nazionali ma alcuni comunisti del PCI (tra cui lo stesso Gramsci con l’Ordine Nuovo per tutto il 1921) e i terzinternazionalisti del PSI decisero di rimanervi. Inizialmente anche tra gli anarchici vi erano delle perplessità poiché nella pratica l’assetto degli Arditi era fortemente militaresco. Ma infine la neonata UAI, avendo constatato che non ci fosse un particolare accentramento di potere,  ma ampi margini di autonomia per le varie sezioni sparse sul territorio nazionale, in un comunicato decise di dare il proprio supporto all’organizzazione. Un ruolo importante fu giocato dal quotidiano Umanità Nova, organo dell’UAI e fondato da Malatesta che pure prese parte all’arditismo. Numerosi erano gli articoli in cui si spronava a prendere parte a questa nuova forma di resistenza e altrettanto numerosi erano gli articoli in cui vi si leggevano lucide analisi su cos’era il fascismo e su chi era Mussolini. Non a caso il quotidiano fu censurato nel dicembre 1922 a seguito di una vera e propria repressione verso tutti coloro che erano schedati come “sovversivi”.

  •   I fatti di Viterbo (12 luglio)
Intanto i fascisti continuavano ad affermarsi sempre di più, a Viterbo il 10 luglio ’21 venne inaugurata una nuova sede del Fascio di combattimento seguita nello stesso giorno dall’uccisione di un contadino.
Il giorno dopo ebbe luogo in quella città una manifestazione presenziata da migliaia di persone, tra cui 200 arditi. Il 12 luglio giunsero a Viterbo degli squadristi perugini, fermati però dalle forze dell’ordine; in ogni caso la cittadinanza si era preparata a respingere nuovi attacchi e nel clima di tensione che si era creato un’auto di nobili borghesi  fu scambiata per auto di camicie nere ed un ragazzo all’interno venne ferito a morte da un ardito. Attorno a questo equivoco nacque un putiferio a livello mediatico e penale, perché la morte di un giovane borghese aveva molta più risonanza della morte di un contadino.

  •   I fatti di Sarzana (21 luglio)
Neanche 10 giorni dopo circa 600 squadristi toscani conversero su Sarzana, provincia ligure, per la liberazione di alcuni squadristi carraresi arrestati due giorni prima; ad attenderli però c’erano gli Arditi del Popolo affiancati dalla popolazione e, caso rarissimo, anche dai carabinieri. Il primo scontro dei fascisti avviene contro il cordone di carabinieri; venne aperto il fuoco da entrambe le parti finchè i fascisti non si diedero alla fuga inseguiti dagli arditi. Il bilancio per le camicie nere fu negativo: 18 morti e una trentina di feriti, mentre alcuni giorni dopo dei dirigenti degli arditi furono arrestati.

  •   Il patto di pacificazione e la repressione bonomiana
Fino a fine luglio si susseguirono vari episodi che videro coinvolti fascisti e antifascisti: nonostante la determinazione degli arditi i fascisti riuscirono ad uccidere senza conseguenze penali parecchi proletari: l’episodio più rilevante è la strage di Roccastrada che aveva visto la morte di 10 contadini.
Mentre i fascisti erano liberi di compiere le loro violenze antiproletarie col tacito assenso degli organi statali, la repressione verso gli arditi si accentuava sempre di più arrivando ad essere non solo legittimata ma anche sostenuta dal PSI che il 3 agosto 1921 insieme alla CGL firmò il patto di pacificazione con i fascisti. Il patto prevedeva una cessazione delle violenze da ambo le parti ma è chiaro che si trattava di una precisa opera strategica di Mussolini interessato ad allargare il suo raggio d’azione a livello parlamentare, perché il resto degli squadristi continuò ad agire impunemente per le strade.
Il 13 agosto Bonomi dichiarò ufficialmente gli Arditi del Popolo un’associazione a delinquere, nonché banda armata con intenti destabilizzanti, passibile di denuncia secondo il Codice penale. Da allora gli arresti dei membri dell’organizzazione aumentano vertiginosamente.

  •  La resistenza alla repressione
A settembre a Livorno si tenne un convegno segreto tra i dirigenti degli Arditi in cui si decise di intensificare l’azione antifascista. Argo Secondari ormai aveva perso la sua posizione in seguito ad un’operazione mal riuscita che aveva condotto a degli arresti e in seguito a delle critiche sul suo modo di agire autoritario. Qui l’anarchico Vincenzo De Fazi prese il posto di Secondari come membro del Direttorio nazionale.
Il mese seguente le autorità intimarono a Baldazzi (tra i dirigenti degli Arditi) lo scioglimento dell’organizzazione concedendogli il permesso di un’assemblea straordinaria proprio per la suddetta comunicazione. All’interno dell’assemblea la decisione fu presa: gli Arditi del Popolo avrebbero continuato  ad esistere in stato di semilegalità. Nei giorni seguenti continuarono ad avvenire scontri tra fascisti e arditi in cui due fascisti rimasero uccisi. La loro morte fu vendicata con l’incendio delle abitazioni degli arditi più noti.

  •   I fatti di Roma (7-11 novembre)
Nel novembre ’21 ebbe luogo a Roma il III congresso nazionale del movimento fascista (occasione in cui da movimento passò ad essere partito). L’evento vide la presenza di ben 33.000 squadristi e la risposta degli antifascisti non si fece attendere: arrivarono a convergere nella capitale tutte le sezioni degli Arditi del Lazio più varie centinaia di socialisti, comunisti, anarchici e semplici proletari.
La categoria dei ferrovieri era la più versata nella lotta di classe e in quella antifascista, tanto che si giunse alla formazione degli Arditi ferrovieri (infatti quando alla fine il fascismo ebbe la meglio portò il vanto di essere riuscito a piegare questa classe lavoratrice e a “far arrivare i treni in orario”).
Proprio i ferrovieri a Roma ebbero un ruolo importante: lasciarono gli squadristi giunti per il congresso appiedati nella periferia cosicchè questi furono attaccati da altri arditi.
La mattina dopo (10 novembre) la città era divisa in due zone: il centro, in mano ai fascisti, e la cintura dei rioni popolari presidiata dalle squadre della milizia antifascista. Seguirono degli scontri a San Lorenzo, Testaccio, Trionfale e Trastevere in cui gli antifascisti riuscirono ad impedire le devastazioni squadriste alle sedi operaie. Il bilancio fu di 5 fascisti e 7 arditi morti e più di 200 feriti per una battaglia che durò 4 giorni.

  •   La sopravvivenza degli Arditi
A Dicembre Bonomi autorizzò lo scioglimento delle associazioni considerabili come corpi armati, cosa rivolta esclusivamente alle sezioni ardito-popolari piuttosto che alle Squadre di combattimento legate al PNF.
Nei mesi a venire gli arditi - talvolta anche supportati dalla popolazione locale- continuarono a difendere e contrattaccare alle violenze delle camicie nere affiancate dalle forze di polizia, e nuovamente il quartiere di San Lorenzo a Roma riuscì a respingere in un violento scontro il tentativo di essere espugnato dai fascisti; la  vittoria fu pagata con l’arresto di centinaia di militanti operai.
Per un anno gli arditi continuarono a sopravvivere in maniera più o meno frammentata nelle varie realtà locali e cominciarono ad assumere maggior spessore le sezioni dell’Italia centrale e meridionale.
Un gruppo di arditi ferrovieri si costituì come circolo sportivo per mascherarne la reale identità.

  •    Lo sciopero legalitario
Tra giugno e luglio del 1922 ripresero gli attacchi violenti delle squadracce capitanate, tra gli altri, da Italo Balbo (segretario del Fascio di Ferrara ed esponente di spicco dello squadrismo agrario).
Il 29 luglio venne deciso dall’Alleanza del Lavoro per il 1 agosto uno sciopero «in difesa delle libertà politiche e sindacali»; esso doveva rimanere segreto fino alla sera del 31 ma la pubblicazione su un giornale riformista genovese il 30 luglio permise ai fascisti di organizzarsi a livello nazionale per reprimere quella prova di forza. Quasi ovunque  l’ordine del PNF di revocare lo sciopero riuscì a imporsi, solo in alcuni centri avvennero episodi di resistenza.

Ancona (2-4 agosto)
Squadre di ferrovieri fecero deragliare un treno che portava rinforzi agli squadristi e un fascista rimase ucciso. Nei rioni si cominciarono ad alzare barricate e fascisti e antifascisti combatterono strada per strada fino all’arrivo della forza pubblica che si affiancò ai primi portandoli a sopraffare la resistenza antifascista e devastando tutte le sedi operaie e popolari.

Civitavecchia (4 agosto)
Gli squadristi occuparono la stazione ferroviaria con l’intenzione di conquistare il centro cittadino. Avvennero sanguinosi scontri con i battaglioni degli Arditi affiancati da 300 operai jugoslavi. Furono così respinti i fascisti e le forze dell’ordine che non riuscirono ad espugnare la città.

Genova (2-5 agosto)
Tutta la popolazione operaia si affiancò agli Arditi ed alle Squadre comuniste d’azione per respingere quella spedizione punitiva. Per tre giorni si resistette sulle barricate difendendo punti strategici e sedi proletarie ma l’intervento della polizia contro la popolazione portò i fascisti a giungere fino al porto devastando gli uffici operai.

Livorno (1-3 agosto)
Anche qui si organizzò la difesa della città istituendo nuclei di vigilanza. Vi furono perdite da entrambe le parti e dopo una serie di violenze la giunta socialista accettò di rassegnare le dimissioni.

Bari (2-4 agosto)
Qui gli Arditi erano guidati dal sindacalista rivoluzionario Giuseppe Di Vittorio ed affiancati anche da un consistente numero di legionari fiumani. Si costruirono barricate e si scavarono trincee in difesa delle due Camere del lavoro e altre sedi operaie. Dopo tre giorni di sanguinosi combattimenti i fascisti di Caradonna e la forza pubblica furono costretti a battere in ritirata. Si trattò di una vera e propria sconfitta del fascismo pugliese.

Parma (2-5 agosto)
Con Balbo alla guida affluirono in città 15mila squadristi. Gli Arditi guidati da Picelli da subito costruirono sbarramenti, trincee e recinzioni pronti alla difesa della città; i campanili venivano usati come osservatori, tutta la popolazione accorse rispondendo al comando degli Arditi, istituendo così un’organizzazione quasi senza pecche in cui ognuno aveva un ruolo ben preciso, tra cui le donne stesse; le branche di servizio erano: difesa e ordinamento interno, approvvigionamento e sanità. La città fu divisa in 4 settori due nell’Oltretorrente (sotto la responsabilità del socialista Guido Picelli) e due in Parma Nuova in cui c’era il quartiere a rischio del Naviglio (sotto la responsabilità dell’anarchico Antonio Cieri). Gli Arditi erano circa 300 dei quali solo la metà era armata.


Mappa delle barricate
La difesa dell’Oltretorrente fu una vera e propria lotta di popolo in cui l’organizzazione venne descritta non senza ammirazione persino da Balbo. I fascisti puntarono allora verso Borgo Naviglio e anche lì avvennero aspri combattimenti, ma un attacco decisivo degli Arditi riuscì a metterli in fuga.
Vennero in seguito inviati dei soldati per rimuovere le barricate ma questi solidarizzarono con gli insorti. Il giorno dopo fu proclamato lo stato d’assedio e gli antifascisti in armi riuscirono a respingere tutti i tentativi di assalto costringendo i fascisti ad abbandonare la città.

Barricata degli arditi a Parma (strada Nino Bixio, pressi Borgo Minelli)
Barricata degli arditi a Parma (borgo Rodolfo Tanzi)
























  • Gli ultimi sussulti e la fine dell’arditismo popolare.
Dopo la sconfitta proletaria dell’agosto ’22 i pochi nuclei residui di Arditi si dissolsero progressivamente.
A Roma gli arditi erano circa 300, quasi tutti anarchici o repubblicani, anche se tra gli organizzatori oltre a Malatesta non mancarono socialisti e comunisti.
A fine ottobre con la marcia su Roma e la vittoria dei fascisti, l’organizzazione antifascista ebbe i giorni contati e ormai le camicie nere sfilavano liberamente per strada festeggiando la loro “rivoluzione”. Qualche nucleo di Arditi era intenzionato ad intervenire ma i rapporti di forza non lo consentivano.
Nonostante l’avvento del fascismo a Parma gli arditi continuarono ad operare in clandestinità; avevano alla guida sempre Picelli, si sciolsero ufficialmente il 14 dicembre 1922 ma continuarono ad agire sotto un altro nome (Gruppi segreti d’azione – Soldati del popolo) e infatti nel marzo 1923 il fascismo in quella città non era ancora riuscito a imporsi. Erano in contatto con cellule simili a Milano, Torino, Genova e altre città d’Italia ma non venne mai compiuto nulla di rilevante. Ormai la prima forma di resistenza armata al fascismo era giunta al tramonto.

Dopo l’assassinio di Matteotti prese il via un nuovo antifascismo laico-borghese interclassista coniugato con la nascita di Italia libera, associazione antifascista di stampo democratico che vedeva l’unione dei “lavoratori del braccio e del pensiero” e che aveva come prospettiva non solo la liberazione dell’Italia dal fascismo ma una sorta di continuità inscritta in un processo rivoluzionario. 

Nello studio di questo particolare momento storico si tende, spesso e volentieri, a far partire l'ideologia e la pratica antifascista proprio da quel periodo in avanti e si esalta la Resistenza che venne messa in atto solo nell'ultimo periodo del Ventennio.
Ci si dimentica con molta facilità di quella che fu la primissima resistenza degli Arditi del Popolo, e di quella che fu successivamente definita da Togliatti "resistenza silenziosa", che ebbe come episodio più rilevante quello messo in atto da Anteo Zamboni.




Gli Arditi durante un'esercitazione


Arditi del Popolo di Crema





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